ANTICORRUZIONE, IL MODELLO 231 EVITA LE NUOVE SANZIONI

Le super sanzioni che possono portare anche al blocco dello studio, dalla legge anti-corruzione, possono essere scongiurate anche con un adeguato modello organizzativo previsto dal decreto legislativo 231 del 2001. Il decreto 231 è quello che ha introdotto un’autonoma e distinta responsabilità parapenale a carico di società e altri enti collettivi (studi compresi) i cui esponenti abbiano commesso determinati reati, tra i quali primeggiano quelli contro la Pa.

Le sanzioni sono particolarmente severe e contemplano oltre alla confisca di beni, sanzioni pecuniarie e minacciose sanzioni interdittive come il blocco dell’attività, il commissariamento, il divieto di contrattare con la Pa, l’esclusione da finanziamenti e sussidi, il divieto di pubblicizzare beni o servizi. La recente legge anticorruzione, oltre a inserire nel “catalogo reati 231” il delitto di “traffico di influenze illecite”, ha intensificatele sanzioni interdittive: la loro durata minima, per i reati più gravi commessi da una figura apicale, è stata quadruplicata, raggiungendo i quattro anni. Gli studi professionali. Tra gli enti interessati figurano anche gli studi professionali, fino a oggi non particolarmente avvezzi – per le limitate dimensioni strutturali, la loro dibattuta inclusione trai destinatari del Dlgs 231 e, soprattutto, l’esigenza di contenimento dei costi – a ricorrere alle misure organizzative interne di prevenzione di eventi criminosi. Ma sono motivazioni davvero e sempre valide?

Oltre ai professionisti intenzionati a cogliere le opportunità di crescita, possono ingrandirsi anche gli studi associati e le società tra professionisti. Nelle strutture più ampie, ai professionisti possono affiancarsi anche soci non professionisti, dipendenti e collaboratori. E ancora: proliferano gli studi multidisciplinari, destinati a offrire una estesa gamma di servizi integrati o complementari, costituendo talvolta distinte entità giuridiche per ciascuno dei settori di attività. Sono tutte realtà che presentano esigenze di coordinamento e organizzative, oltre a problematiche legate alle dinamiche interne e ai processi decisionali.

Giunge quindi il momento di assumere un direttore generale o un amministratore, eventualmente prescelto tra gli associati. Non occorre, tuttavia, che lo studio abbia raggiunto tali dimensioni per poter incorrere nella responsabilità amministrativa disciplinata dal Dlgs 231. Cassazione e giurisprudenza di merito hanno infatti ormai dissipato gran parte dei dubbi circa l’applicabilità della norma agli studi professionali, laddove sia netta la loro distinzione con i soggetti per essi operanti.

A conferma, basti richiamare il recente sequestro preventivo operato nei confronti di uno studio legale assodato di Milano per il concorso nel reato di riciclaggio di un suo avvocato che aveva aiutato un cliente ad occultare i proventi di evasione fiscale.

Il modello organizzativo – Peraltro, non scarseggiano tra i reati presupposto della “responsabilità 231”, quelli riconducibili ai professionisti, come quelli contro la Pa, i reati colposi in materia di sicurezza sul lavoro, le violazioni al diritto d’autore, i reati informatici, il riciclaggio. Non è arduo, poi, dimostrare che l’illecito penale di un professionista sia stato posto in essere nell’interesse o svantaggio dello studio di appartenenza, avendo questo come finalità il perseguimento di un profitto economico rappresentato dal corrispettivo versato dai clienti per lo svolgimento delle prestazioni professionali. Escludendo gli studi individuali non strutturati e le piccole realtà organizzative, per gli altri si tratta di valutare l’opportunità di adottare un modello di organizzazione e gestione su misura, idoneo a prevenire la commissione di reati inclusi nel “catalogo 231”, che li schermi dal severo arsenale sanzionatorio o ne attenui l’impatto.